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Palazzo Albrizzi, ACIT Venezia, Cannaregio 4118

4 novembre 2023 ore 17:30

 

SCHUBERTIADE

Fabio Grasso, pianoforte

 

Franz Schubert (1797-1828)


Quattro Improvvisi D 899 (1827)
n. 1 Allegro molto moderato

n. 2 Allegro

n. 3 Andante

n. 4 Allegretto

Sonata in La minore D 537 (1817)
Allegro ma non troppo

Allegretto quasi Andantino

Allegro vivace

Sonata in La maggiore D 664 (1819)
Allegro moderato

Andante

Allegro

 


Improvvisi e Sonate, con pesi quantitativi ovviamente diversi, costituiscono i due settori fondamentali della produzione pianistica di Schubert; se si eccettuano la Wandererfantasie e i Momenti musicali è in queste due porzioni del catalogo schubertiano che si trovano le composizioni per pianoforte più celebri e storicamente importanti.
La denominazione Impromptu, usata per designare l’Improvviso, è una francesizzazione della locuzione latina “in promptu”, “a portata di mano”. La plurisecolare tradizione europea di improvvisazione alla tastiera si è sempre basata su spunti di partenza consistenti in figurazioni caratterizzate dall’immediata aderenza alla conformazione e ai movimenti più spontanei e istintivi della mano, sviluppati poi via via in articolazioni più complesse. La novità degli Improvvisi di Schubert risiede soprattutto nella concezione formale, che abbandona la sbrigliata libertà delle Fantasie barocche o protoclassiche per orientarsi verso strutture ben inquadrate, tendenzialmente simmetriche nella loro propensione per lo schema A-B-A, certamente soggetto a variazioni generatrici di ramificazioni o elementi di asimmetria; è ad esempio il caso del secondo brano della serie D 899 (il primo dei due volumi contenenti 4 Improvvisi ciascuno), il cui schema diviene A-B-A-B, con un’alternanza che pur nell’analoga vivacità degli andamenti sottolinea la contrapposizione fra la levità aggraziata di A e il temperamento drammatico di B.
Se nel quarto Improvviso la forma inequivocabilmente simmetrica A-B-A vive sul contrasto fra la trasparente leggerezza degli arpeggi discendenti delle sezioni estreme e l’appassionato lirismo del segmento mediano, nell’Improvviso n. 3 un’analoga struttura tripartita è interamente percorsa da una dispiegata melodia sostenuta da un costante accompagnamento in arpeggi, trasposizione pianistica di un’idea liederistica: la dolce cantabilità del tema principale si increspa in una sezione centrale movimentata da chiaroscuri e geniali giochi di variazioni armoniche.
L’architettura più articolata e ricca di sottosezioni, che ne complicano l’impianto simmetrico, è quella dell’Impromptu n. 1, nel quale il tema di B scaturisce direttamente, come sognante metamorfosi, da quello austero e marziale di A.
Con queste perle schubertiane ha inizio un filone compositivo che percorre l’intero XIX secolo, passando per Chopin e Liszt (anche con soluzioni “contaminate” come Fantaisie-Impromptu o Valse-Impromptu), e soprattutto Schumann e Brahms, i quali, pur adottando denominazioni diverse, come Intermezzo, non mancheranno di considerare gli Improvvisi schubertiani come un punto di riferimento essenziale.
Il rapporto di Schubert con la forma-sonata, sia essa pianistica, cameristica o sinfonica, presenta due tratti particolarmente rilevanti: le sperimentazioni molto personalizzate nella gestione delle relazioni tonali e l’allontanamento, seppur tutt’altro che sistematico, dalle più stringenti tecniche elaborative beethoveniane, a vantaggio di un approccio più narrativo e divagante. Quest’ultimo aspetto, che peraltro non implica affatto l’accantonamento del modello ispiratore beethoveniano a livello generale, si coglie soprattutto nelle Sonate più tarde ed estese.
Le Sonate D 537 e D 664 sono rispettivamente catalogate come la prima e la quarta delle 11 ufficiali e complete, entrambe ancora in tre tempi.
I movimenti veloci della D 537 in La minore sono insolitamente stringati: il primo si fa notare per alcune connessioni armoniche decisamente antiaccademiche e per la Ripresa alla Sottodominante, una modalità di completamento della forma-sonata cara a Schubert, che può consentire di procedere con la Ripresa senza la necessità di introdurre varianti obbligatorie rispetto all’Esposizione. Qui il percorso resta in effetti inalterato, mentre in versioni più evolute l’espediente ispira deviazioni modulanti facoltative, e in quanto tali particolarmente libere e sorprendenti - così accade proprio nel terzo tempo della Sonata D 664.
Lo sperimentalismo strutturale porta a concepire, come terzo movimento della Sonata D 537, una forma-sonata priva di sviluppo in cui i rapporti tonali fra temi e sezioni vengono di fatto invertiti anche rispetto a certe abitudini schubertiane già non canoniche (il secondo tema parte alla Sottodominante, la Ripresa addirittura alla Dominante).
Il secondo movimento di questa Sonata è una sorta di Romanza il cui tema principale verrà riutilizzato da Schubert in altre occasioni, come nel finale della Sonata D 959. Qui esso viene trattato con grande raffinatezza strumentale, con l’intento di riprodurre timbri orchestrali (soprattutto l’effetto pizzicato sotto a una melodia legata, già oggetto di ricerca in alcune Sonate per pianoforte di Beethoven).
Molto più regolare è nell’insieme l’impostazione dei movimenti dalla Sonata D 664 in La maggiore, tutti e tre in forma-sonata: pienamente classica è soprattutto quella del primo tempo, in cui l’ispiratissima invenzione melodica si coniuga con una scrittura pianistica dai colori morbidi, tipicamente schubertiani, e con una ricerca armonicaa che si focalizza con acume soprattutto sulle brevi transizioni che anticipano ogni ritorno del primo tema, caratterizzate da suoni pedale sui quali scorrono illuminati collegamenti cromatici.
Profondità ed immediatezza espressiva si conciliano mirabilmente nel secondo tempo, che sembra riallacciarsi all’atmosfera intima e nel contempo tersa, quasi del tutto scevra sia di ombre che di densificazioni, che connota certi movimenti lenti mozartiani, come quelli delle Sonate K 576 e soprattutto 311.
In questa Sonata D 664 sono alquanto chiaramente percepibili all’ascolto due allusioni beethoveniane: una progressione nello Sviluppo del terzo movimento che ricalca un passo del finale della Tempesta, e il frammento motivico che conclude Esposizione e Ripresa del primo movimento, evidentemente desunto dal primo tempo della Waldstein, a ulteriore testimonianza di quanto inevitabilmente potente sia l’influsso di Beethoven su chi dopo di lui si cimenta col genere sonatistico, e specialmente su Schubert, che ne è l’erede più diretto.
Fabio Grasso

 

www.fabiograsso.eu